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Ricordi di Torricella
Memories of Torricella
La
lettera [1]
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A CHE SERVIVA CHE I NOSTRI CONTADINI SAPESSERO LEGGERE E SCRIVERE Chi era nato e vissuto a Torricella, conosceva in pratica tutti i suoi abitanti; in ciò era aiutato: - dai soprannomi che distinguevano tutte le famiglie; - molte attività che si facevano insieme come certi lavori e certi divertimenti. Tali occasioni costituivano, tra l’altro, momenti di incontro e di scambio di informazioni. Esisteva inoltre la consuetudine per la quale, tutti si potevano rivolgere a tutti, premettendo però, in ordine crescente, il titolo di “zi”, “za”,” Mastr” e “Don”e raramente “Vossignori”. Tutti sapevano anche gli affari di tutti dato il numero ristretto di persone che formava la comunità e la consolidata tradizione di partecipare tra tutti i dolori e le gioie di tutti. La comunicazione nella comunità era verbale e quando si volevano fare sapere cose nuove a tutti c’era il Parroco che ne parlava nella messa della domenica; per le cose profane c’era invece il “banditore” che passando strada per strada richiamava l’attenzione con un suono prolungato di tromba e poi ripeteva quello che tutti dovevano sapere. All’istante ci si scambiavano punti di vista interpretazioni e critiche sulle novità che si apprendevano. Tutti i mestieri si imparavano, in silenzio, guardando e provando a fare. Sapere leggere e scrivere, in quella realtà era considerato una cosa di prestigio ma di scarsa utilità; ciò in considerazione che tutti, fin da bambini, imparavano a leggere e scrivere il grande libro della natura che, sincera ed incontaminata, era a disposizione di tutti alla stessa maniera dell’aria pura e incontaminata che tutti potevano allora respirare. Tale equilibrio fu rotto quando i vari personaggi, dicendosi presunti detentori di diritti di origine divina direttamente, incominciarono a dare ordini che dovevano essere eseguiti e basta. Per fare ciò gli ordini dovevano essere scritti per non essere discutibili ed inoltre, in considerazione dell’elevatissimo numero degli analfabeti, negli ordini scritti fu subito scritto che tutti gli ordini pubblicati per iscritto non ammettevano come scusa il fatto che i cittadini non li rispettassero in quanto non sapessero leggere. Sempre i sedicenti detentori di diritti di origine divina, direttamente scrivevano agli uomini, perché un giorno preciso dovevano lasciare tutti i loro impegni presenti e futuri e stare a disposizione degli incaricati medesimi di giorno e notte in un luogo remoto dell’Italia o dell’estero anche a costo di tornare mutilati o di morire poiché a loro volta si dovevano impegnare a ferire ed uccidere altri uomini. Le loro famiglie, le mogli, i figli, i campi, gli animali non erano cose che potessero interessare a coloro che facevano quello che Dio voleva salvo appropriarsene, senza nessun indennizzo, se si sarebbe presentata la loro convenienza e senza dare alcuna spiegazione a qualche altro sedicente detentore di diritti di origine divina. Comunque questi incaricati comminavano pene severissime a chi non si fosse comportato come prescritto dall’apposito ordine scritto che il destinatario non sapeva neppure leggere. Sempre questi incaricati, senza dare in cambio niente, richiedevano per iscritto e con ordini indiscutibili e minacce irresistibili il pagamento della “fondiaria” in contanti e senza discussioni commisurata ai terreni detenuti a prescindere dalla loro capacità di produrre un qualsiasi reddito. Malgrado la Rivoluzione francese, La restaurazione, Gli Stati costituzionali, l’unità d’Italia, tali oltraggi e rapine fatte per anni ai danni dei nostri poveri contadini continuarono per anni, al punto che costrinse un gran numero di questi a fuggire: emigrare all’estero. Ma emigrare in paesi lontani significava tagliare tutti i rapporti con il proprio mondo e l’unico esile legame che poteva continuare ad esistere potevano essere soltanto i rapporti epistolari (le lettere). Una popolazione con un alto livello di analfabetismo, con “la fortuna” dell’unità d’Italia, improvvisamente dovevano imparare a leggere e scrivere in piemontese-toscano-romano perché ai presunti detentori di diritti di origine divina del momento così faceva comodo. Inutile dire che dai loro continui discorsi, i nostri contadini manifestavano un odio viscerale verso tutti presunti detentori di diritti di origine divina; non a caso nella nostra zona di origine, dopo la caduta dei Borboni, si verificò in maniera evidente il fenomeno di brigantaggio con modalità molto simili a quelle attribuite al mitico Robin Hood. “L’ se fa la lettera” (in italiano: sai leggere e scrivere) era la domanda terribile che ancora circolava a Torricella quando ci sono vissuto, allorché c’era da leggere un documento inviato da qualche prepotente o quando si prendeva in considerazione la possibilità di emigrare. Con i tempi burocratici che niente hanno a che fare con le risorse economiche e con i tempi tecnici, finalmente lo Stato italiano si accorse che tutti gli italiani dovessero essere messi in condizione di leggere e scrivere e per questo costruì e attrezzò moltissime scuole in ... Libia(??); ci sono tuttora ma non sono utilizzate neanche dai libici. Con i residui delle risorse avanzate per ricostruire l’impero, anche in paesi come Torricella si allestirono faticosamente le scuole elementari, distrutte subito dopo dalla guerra tanto avversata dalla povera gente e tanto voluta dagli presunti detentori di diritti di origine divina per ragioni come il razzismo e per l’avidità di impossessarsi di cose di altri.. A questo punto c’è da chiedersi o che gli incaricati hanno capito male oppure quando Dio ha dato gli ordini a questi presunti detentori di diritti di origine divina, ha avuto una amnesia circa i suoi COMANDAMENTI. |
Figura 1 in questa fotografia relativa ad un matrimonio si vede bene il piccolo campanile della chiesa di S.Rocco |
Quando si avvicinò il mese di ottobre 1946, a Torricella tutti parlavano della scuola che doveva riaprire dopo gli eventi bellici che avevano distrutto gli edifici delle scuole con le mine dei tedeschi; avevano scacciato la cultura fascista con la vittoria delle democrazie mentre i tra i fascisti in fuga c’erano anche i maestri ed erano inseguiti da partigiani tra i quali c’erano anche maestri (come si sa li inseguirono fino Bologna). | ||
Figura 2 nel dopo guerra i bisogni divennero sempre più acuti |
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Molti dei nostri contadini pensarono che come lavoravano giorno e
notte nel proprio paese si potesse lavorare ancora meglio in Paesi dove si
lavoravano solo otto ore al giorno ed addirittura il sabato e la domenica non si
lavorava affatto. Nessuno li mise in guardia del tranello. Nessuno disse loro che i quei paesi ciascuno lavorava solo per se stesso ed ad un ritmo di lavoro che essi manco riuscivano ad immaginare; ognuno doveva pensare a se stesso e guai se per sfortuna si fosse caduti nella condizione di avere aiuto dagli altri. |
Figura 5 allettanti inviti a lasciare la propria terra |
Figura 6 facilità di fuggire la miseria |
Figura 7 di famiglia numerosa di poveri contadini; di tutte le età; ognuno di loro volgeva attività lavorativa |
La miseria alimentata vigorosamente dalla Guerra aveva convinto
un numero sempre più elevato di persone sulla necessità di emigrare e quindi,
nonostante tutto, tutti collaboravano per rimettere in moto il meccanismo che
doveva mettere più cittadini possibili in condizione di rispondere
affermativamente alla domanda “l se fa la lettera?” Il 15 ottobre del 1946, alle ore 8,30, la campana piccola del campanile della chiesa di San Rocco suonava velocissima “a martello” per annunciare l’inizio delle lezioni che per me erano quelle di seconda elementare. La nostra aula era stata sistemata al secondo piano del lato nord ovest del vecchio edificio comunale restaurato alla buona per l’occasione. |
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“zi Ricuccie” era ufficialmente il sagrestano della Chiesa di San
Giacomo e come tale era anche il detentore delle pesanti chiavi della chiesa di
San Rocco, in parte fatiscente e non ripristinata dopo la guerra. Ovviamente le
chiavi davano l’accesso alla pericolante scala di legno che faceva accedere al
piccolo campanile della chiesa di San Rocco. Suonare quelle campane era un compito di fiducia poiché molto rischioso e comunque non potevano essere suonate “a distesa” perché dondolando potevano crollare insieme al minuscolo campanile. Venivano suonate una alla volta soltanto “a martello”; attraverso una maniglia di cuoio si prendeva il batacchio e si sbatteva sulla parte interna della campana; il suo suono, con un tono argentino, era udito con chiarezza da tutti gli abitanti di Torricella e veniva suonata con la massima puntualità. “zi Ricuccie” era un personaggio particolare ed indimenticabile; di altezza media, di corporatura molto magra (in quei tempi i grassi erano pochi ma lui eccedeva per l’altro verso); vestiva in grigio o in nero con un vestito “stile” professionista dei suoi tempi ma si notava che il vestito era fortemente infastidito dai rammendi, le riparazioni, gli aggiustamenti, lavature, stirature che aveva dovuto subire negli ultimi 30 anni; ovviamente il vestito era completato da un gilè che aveva anch’esso a lungo patito ma che ancora conservava con orgoglio, un orologio da taschino con tanto di catena; ovviamente aveva anche il taschino per conservare i piccoli occhiali da miope nei rari momenti in cui non li aveva sul naso. Immancabile la “scoppola” e un permanente cattivo umore alquanto mitigato dalla tendenza a parlare poco. “zi Ricuccie” abitava al terzo portone a destra lungo la strada che da la Chiesa di San Giacomo sale verso “Le Piane”; io abitavo con i miei nonni al quarto portone della stessa strada; passavo moltissimo tempo a vedere quello che faceva “zi Ricuccie”; venivo da lui tollerato poiché lui faceva tutto in silenzio ed io, malgrado la mia natura, avevo capito che con lui non dovevo parlare e tanto meno fare domande; forse per questo atteggiamento prima mi tollerò poi mi divenne amico e mi accordò la sua fiducia. Aveva molti figli anche adulti, mi ricordo di due giovanotti simpatici, di due ragazze sui diciotto anni di cui una si chiamava Teresa ed una ragazza di circa la mia età che si chiamava Genoveffa. La moglie, sempre vestita di nero, cicciona, brontolona si chiamava “Za Annina” “zi Ricuccie” ovviamente faceva le funzioni di bidello della scuola; zi Ricuccie” serviva anche i pasti all’unico detenuto del Carcere di Torricella; il carcere si trovava salendo la scala ad angolo che porta alle “tirriete”[5] “zi Ricuccie” era chiamato anche “lu stagnine” poiché tra i tanti lavoretti che sapeva fare faceva anche lo stagnino; tutto in piccolo, forse date anche le sue limitate forze; l’ho visto trasformare un barattolo vuoto per conservare cibi (magari raccolto dall’immondizia), in un lume ad olio o a petrolio dall’eleganza di una lucerna antica; l’ho visto fabbricare scope, scopette e simili usando come materia prima la saggina[6]. Ovviamente l’ho visto fare piccole riparazioni e manutenzioni di molte attrezzature della chiesa di cui egli era Sagrestano. Tutto sommato mi era simpatico anche se il suo vestito ed il suo umore scuri potevano essere un riflesso del vestito e dell’umore di Don Cosma che è stato il parroco scorbutico e dispotico di “zi ricuccie” nel periodo in cui sono vissuto a Torricella La prima manifestazione di fiducia di “zi Ricuccie” nei miei riguardi si verificò per la prima volta quando mi diede il pesante incarico di andare a suonare la campanella dell’inizio delle lezioni sopra il pericolante campaniletto della vecchia chiesa di San Rocco. Successivamente mi diede l’autorizzazione a farmi accompagnare anche da persona di mia fiducia. Praticamente io indicavo l’inizio delle lezioni; operazione facilitata dal fatto che davanti alla chiesa di San Rocco si vedeva benissimo l’orologio del campanile della chiesa di San Giacomo. Chi non ha mai suonato campane (intendo a mano non quelle elettroniche oggi in uso) non sa quale gioia e soddisfazione atavica se ne ricava specialmente da parte di un bambino; inoltre ero molto corteggiato dai miei compagni per essere scelti ad accompagnarmi a suonare la campana dell’inizio lezioni. |
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L’AULA |
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Figura 10 banchi e attrezzature rimediate nel dopo guerra |
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Figura 12 banchi e attrezzature rimediate nel dopo guerra |
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Anche perché la seconda
elementare era frequentata da oltre trenta ragazzi dall’età compresa tra i 7 e i
14 anni; c’era quindi anche un problema di diverso ingombro dei singoli scolari,
non solo per l'altezza, il peso e le capacità, ma soprattutto perché i ragazzi
non venivano considerati come persone, ma come “cose” che davano fastidio ed
erano noisi. I MIEI COMPAGNI DI SCUOLA |
Figura 14 dall’Album di Silvio Porreca, Anno 1946 |
Se ne riconoscono pochi: il primo in piedi sulla sinistra, in
primo piano, con il giacchetto chiaro, è Domenicuccio di fiorenze; accanto, le
prime due ragazze in primo piano, sono Luisella Pellicciotta (la figlia di Teresa di capè) e Gabriella Teti de la sciabbilette; davanti, con la giacca chiara e i libri sotto braccio, è Giuseppe Vitacolonna di ribbecche; accanto, con il maglioncino scuro, c'è Silvano Fedele. Io non ci sono nella foto ed è probabile che non si trattasse della seconda elementare. Comunque in classe con me c’era un Francesco o De Francesco il cui padre partigiano era stato ucciso dai tedeschi. C’era anche un Porreca, della mia stessa età, ed era figlio del Farmacista di Torricella |
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Figura 15 i termosifoni alle spalle della bambina non funzionavano
facevano parte della sceneggiatura fascista (vedere stufa a legna nella foto della Figura 9) |
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Perché tanta diversità? Perché era il primo anno che la scuola
aveva ripreso a funzionare dopo la parentesi bellica. I bambini che avevano
compiuto i sei anni nel 1940, 1941, 1942, 1943, 1944, 1945 non erano potuti
andare a scuola; d’altra parte i genitori di molti di essi erano ben contenti di
evitare di far perdere tempo loro con la scusa della scuola. I bambini anziché
lavorare nei campi erano occupati con la scuola (sia andando che studiando, che
permanendo a scuola). Poiché quel tipo di scuola distribuiva cose uguali a persone con bisogni molto diversi, la percentuale di bocciati era altissima; specialmente tra quelli che non conoscevano la lingua Piemontese/toscana che usavano gli insegnanti, a salvaguardia della propria casta, e un po’ alla maniera del latinorum[8] di manzoniana memoria. Tali erano i condizionamenti che molti dei ragazzi si auto convincevano di essere mentalmente andicappati e quindi inadatti alla scuola. Tuttavia delle pubbliche istituzioni, la Scuola era l’unica alla quale veniva accordata un minimo di considerazione poiché, nei casi fortunati, poteva mettere i giovani in condizione di sapere leggere e scrivere le lettere con le quali potere comunicare con la propria famiglia durante il lungo periodo di leva obbligatorio[9] e nei casi di emigrazione; tutto il resto che la scuola faceva era una gran perdita di tempo che faceva trascurare le attività agricole e pastorizie dalle quali si ricavavano invece cose ben concrete. Le altre istituzioni pubbliche erano considerate ostili o apertamente nemiche e che comunque danneggiavano i contadini e le loro opere. Lo Stato pretendeva innanzi tutto il pagamento, in contanti, della “fondiaria” (imposte commisurate alla proprietà dei fondi a prescindere del loro rendimento); in una società in cui i soldi in contanti erano quasi inesistenti era una vera tortura racimolare il necessario. Lo stato si prendeva i giovani nel pieno delle loro energie e li utilizzava al giogo[10] per il gioco della guerra nelle rivalità con gli altri loro parenti regnanti di altri Stati; in molti casi non li restituiva più e altre volte li restituiva gravemente mutilati. Non permetteva di coltivare il tabacco ma pretendeva che si comprasse quello di pessima qualità che esso stesso vendeva a caro prezzo. Non ricordo i nomi di quegli scolari ma sicuramente la loro provenienza sociale si poteva individuare molto facilmente dal loro linguaggio, dai loro vestiti, dall’estremo timore riverenziale verso il maestro, e ovviamente dal loro rendimento scolastico Le loro mani callose male si destreggiavano a maneggiare matite, gomme, penne, pennini ed inchiostro; i loro libri e quaderni erano caratterizzati da evidenti “orecchie”. Dei circa 35 ragazzi che frequentavano quella seconda elementare dieci o dodici di essi erano quelli che sbagliavano sempre tutto e quindi erano i destinatari delle frustate del Maestro Verna. Dico bene, frustate, poiché il maestro era consapevole che con uno schiaffo o con un pugno poteva farsi male lui stesso. Allo scopo si era sempre provvisto di un frustino da cavalli che prima dei registri o dei libri o di ogni altra cosa la mattina portava in classe e più di ogni altra cosa utilizzava per l’insegnamento. Il suo metodo non era quello utilizzato da millenni per domare le bestie selvatiche e cioè l’utilizzo “della carota e del bastone”; egli aveva ulteriormente modificato tale metodo in “insulti e bastone”. Dall’alto della sua “cultura” aveva convinto anche i genitori che quelle “bestie” andavano trattate soltanto in quella maniera. Il suo frustino ed il relativo utilizzo erano divenuti normali e pacifici strumenti d’insegnamento. Specialmente per quei ragazzi i cui genitori non si reputavano in grado di eccepire un qualsiasi argomento contro tale metodo didattico. IL MAESTRO |
Figura 18 frustino da cavallo (principale strumento didattico del Maestro Verna) |
Figura 19 Altri strumenti professionali per scrivere con penne, pennini ed inchiostro |
Figura 20 Podestà dal 1936 al 1944 - Giovanni Verna, insegnante di scuola elementare Iscritto al Partito Nazional Fascista[11] |
Non credo che abbia fatto i suoi studi in Roma nel 1700 dove abbia potuto apprendere soltanto su qualche vecchio editto in pietra del tipo che segue |
Figura 21 Roma Via dei Pettinari (circa la metà a sinistra andando verso il Tevere) |
Delle frustate in
pubblico. Anche nel divertimento i romani dovevano stare attenti; quanto a severità (se non altro minacciata) le autorità non scherzavano. Gli autori degli "eccessi" carnevaleschi rischiavano punizioni corporali. La fustigazione ad esempio, oppure i "tratti di corda"[12]. In questo caso il malcapitato veniva sollevato da terra con una fune collegata ad una carrucola, che teneva legate le braccia dietro la schiena, e poi lasciato cadere di colpo. E non si poteva far finta di nulla. Nella Roma dell'epoca infatti gli strumenti per la tortura della corda erano sparsi per le vie più frequentate della città. Nel 1692 "fu frustato per la città un ammascherato da Pulcinella perché andava scherzando per il Corso con un salame". E' solo un esempio, fra i tanti che riempiono le cronache dell'epoca. Ma, forse, di questo la popolazione non si preoccupava più di tanto. La tortura, come il carcere, erano considerati dai settori poveri quasi una sorta di "calamità naturali". Anche le prostitute sorprese in maschera - a dispetto del divieto loro imposto - venivano frustate, ovviamente in pubblico e, inutile dirlo, lungo il Corso... tutto è spettacolo! Se le frustate erano benefiche nei divertimenti figuriamoci in una attività seria come la scuola potrebbe aver pensato il solerte maestro. Sono convinto invece che anche lui, da bambino, sia stato la vittima dell’oppressione generazionale che per oltre 40 anni ha trasmesso ai ragazzi di Torricella Come ha fatto nascere e ha trasmesso l'oppressione generazionale La prova matematica che Galileo Galilei[13] presentò nel 1613 per convalidare la tesi copernicana, secondo cui era la Terra a ruotare intorno al Sole e non viceversa, venne definita "falsa e assurda" dalla Chiesa. Galilei fu costretto all'abiura, e finì cieco i suoi giorni. Solo trecento anni dopo, finalmente, la Chiesa si decise a rimediare al suo errore e a cancellare dall'indice gli scritti di Galilei, lasciando loro libero corso. Oggigiorno ci troviamo in una situazione analoga a quella in cui si trovava la Chiesa ai tempi di Galilei; con la differenza, però, che la posta in gioco è assai più alta, in quanto il nostro decidere a favore della verità o dell'errore avrà conseguenze più pesanti per la sopravvivenza dell'umanità, rispetto a quelle che poteva avere nel diciassettesimo secolo. Da alcuni anni, infatti, è stato scientificamente provato (anche se resta tuttora proibito prenderne atto) che le conseguenze perniciose dei traumi subiti da bambini si ripercuotono inevitabilmente sull'intera società. Questa scoperta riguarda ogni singolo individuo e, se opportunamente divulgata, dovrà portare ad un mutamento sostanziale della nostra società e soprattutto dovrà liberarci dalla cieca spirale della violenza. Nei punti che seguono cercherò di chiarire meglio il mio pensiero: 1) Ogni bambino viene al mondo per crescere, svilupparsi, vivere, amare ed esprimere i propri bisogni e sentimenti, allo scopo di meglio tutelare la propria persona. 2) Per potersi sviluppare armoniosamente, il bambino ha bisogno di ricevere attenzione e protezione da parte di adulti che lo prendano sul serio, gli vogliano bene e lo aiutino onestamente a orientarsi nella vita. 3) Nel caso in cui questi bisogni vitali del bambino vengano frustrati, egli viene allora sfruttato per soddisfare i bisogni degli adulti, chiuso, punito, maltrattato, manipolato, trascurato, ingannato, senza che in suo aiuto intervenga alcun testimone di tali violenze. In tal modo l'integrità del bambino viene lesa in maniera irreparabile. 4) La normale reazione a tali lesioni della propria integrità sarebbe di ira e dolore, ma poiché in un ambiente simile l'ira rimane un sentimento proibito per il bambino e poiché l'esperienza del dolore sarebbe insopportabile nella solitudine, egli deve reprimere tali sentimenti, rimuovere il ricordo del trauma e idealizzare i suoi aggressori. In seguito non sarà più consapevole di ciò che gli è stato fatto. 5) I sentimenti di ira, impotenza, disperazione, desiderio struggente, paura e dolore - ormai scissi dallo sfondo che li aveva motivati - continuano tuttavia a esprimersi in atti distruttivi rivolti contro gli altri (criminalità e stermini) o contro sé stessi (tossicomanie, alcolismo, prostituzione, disturbi psichici, suicidio). 6) Vittime di tali atti vendicativi sono assai spesso i propri figli, che hanno la funzione di capri espiatori e la cui persecuzione è ancor sempre pienamente legittimata nella nostra società, anzi gode persino di alta considerazione, non appena si autodefinisca ''educazione''. Il tragico è che si picchiano i propri figli per non prendere atto di ciò che ci hanno fatto i nostri genitori. 7) Perché un bambino maltrattato non divenga un delinquente o un malato mentale, è necessario che egli, perlomeno una volta nella vita, incontri una persona la quale sappia per certo che ''deviante'' non è il bambino picchiato e smarrito, bensì l'ambiente che lo circonda. La consapevolezza o l'ignoranza della società aiuta, in tal senso, a salvare una vita o contribuiscono a distruggerla. Di qui la grande opportunità che è offerta a parenti, avvocati, giudici, medici e assistenti sociali di stare, senza mezzi termini, dalla parte del bambino e di dargli la loro fiducia. 8) Finora la società proteggeva gli adulti e colpevolizzava le vittime. Nel suo accecamento, essa si appoggiava a teorie che, corrispondendo ancora interamente al modello educativo dei nostri nonni, vedevano nel bambino una creatura astuta, un essere dominato da impulsi malvagi, che racconta storie non vere e critica i poveri genitori innocenti, oppure li desidera sessualmente. In realtà, invece, non v'è bambino che non è pronto a addossarsi lui stesso la colpa della crudeltà dei genitori, al fine di scaricare da loro, che egli continua pur sempre ad amara, ogni responsabilità. 9) Solo da alcuni anni, grazie all'impiego di nuovi metodi terapeutici, si può dimostrare che le esperienze traumatiche rimosse nell'infanzia sono immagazzinate nella memoria corporea e che esse, rimaste a livello inconscio, continuano ad esercitare la loro influenza sulla vita dell'individuo ormai adulto. I rilevamenti elettronici compiuti sul feto hanno inoltre rivelato una realtà che finora non era stata percepita dalla maggior parte degli adulti: e vale a dire che sin dai primi attimi di vita il bambino è in grado di recepire e di apprendere atteggiamenti sia di tenerezza che di crudeltà. 10) Grazie a queste nuove conoscenze, ogni comportamento assurdo rivela la sua logica sino a quel momento nascosta, non appena le esperienze traumatiche subite nell'infanzia non debbano più rimanere nell'ombra. 11) L'aver acquisito sensibilità per le crudeltà commesse verso i bambini, che sinora venivano generalmente negate, e per le loro conseguenze arresterà il riprodursi della violenza di generazione in generazione. 12) Gli individui che nell'infanzia non hanno dovuto subire violazioni alla loro integrità, e a cui è stato consentito di sperimentare protezione, rispetto e lealtà da parte dei loro genitori, da giovani e anche in seguito saranno intelligenti, ricettivi, capaci di immedesimarsi negli altri e molto sensibili. Godranno della gioia di vivere e non avranno affatto bisogno di far del male agli altri o a sé stessi, né addirittura di uccidere. Useranno il proprio potere per difendersi, e non per aggredire gli altri. Non potranno fare a meno di rispettare e proteggere i più deboli, ossia anche i propri figli, dal momento che essi stessi, un tempo, hanno compiuto tale esperienza, e dal momento che fin dall'inizio in loro è stato memorizzato proprio questo sapere (e non la crudeltà). Questi individui non saranno mai nella condizione di capire come mai i loro avi nel passato abbiano dovuto impiantare una mastodontica industria bellica per sentirsi a loro agio e sicuri nel mondo. Dal momento che il compito inconscio della loro vita non starà più nel difendersi dalle minacce subite nell'infanzia, essi saranno in grado di affrontare in maniera più razionale e creativa le minacce presenti nella realtà. . Tratto da: A. Miller, La persecuzione del bambino, Bollati Boringhieri, Torino, 1987[14]. I MIEI COMPAGNI DI SCUOLA Quelle trentacinque rumorose ed ingombranti “cape toste”a me sembravano allora avere caratteristiche inconfondibili Un piccolo gruppo (figli di contadini braccianti che risiedevano nelle campagne) si caratterizzavano per Frequentissime assenze, anche di lungo periodo; in alcuni casi, malvolentieri venivano fatti ricercare dai Carabinieri[14] per diffidare i loro genitori a far venire a scuola i propri figli; ma il tutto avveniva solo per un fatto formale: la legge rendeva, in teoria, l’educazione elementare obbligatoria; ma ne ai maestri, ne ai genitori e tanto meno ai Carabinieri glie ne importava nulla della loro istruzione. La puntualità dipendeva molto dalle condizioni atmosferiche e sicuramente erano assenti i giorni in cui era possibile lavorare nei campi. I loro vestiti erano quelli maggiormente tappezzati di toppe a colore e non; spesso erano motivo di dileggio poiché ai piedi portavano le “chioche”[16]. La non pulizia del proprio corpo e dei propri vestiti si vedeva e si preannunciava a distanza. Tra i loro maestri non vi era stato sicuramente il monsignore Giovanni della Casa[17]; e molto spesso neanche i loro maestri avevano mai sentito parlare dell’autore del Galateo.[18] Quando il sole fa crescere le erbe da estirpare o quando la pioggia rende fangoso il terreno da lavorare o quando il freddo rende tormentoso il lavoro nei campi era molto difficile che ragazzi che lavorano nei campi potessero essere affascinati dalle differenze della “e” quando esprime copula, verbo, congiunzione o terza persona singolare del verbo essere e tanto meno dalle parole che iniziano con la “s” ”pura” o “ impura”. L’attenzione durante le lezioni era unicamente quella di evitare di essere oggetto di disprezzo, per motivi di cui non avevano colpe e non meno offrire l’occasione per essere frustati dall’eccellente maestro Verna. Tra gli animali da governare, i terreni da arare tra i campi da seminare, gli alberi da potare, la legna da raccogliere e tra le mille altre attività richieste dalla lavorazione dei campi quali altri compiti a casa dovevano svolgere per non far agire la frusta del maestro Verna? L’ATTIVITA’ DIDATTICA Le principali attività che durante le lezioni venivano svolte erano il “dettato e relativa correzione, la lettura e i calcoli aritmetici. Il dettato era un testo scritto da un autore che per sopravvivere aveva dovuto omaggiare tutti i potenti del momento utilizzando forti inclinazioni piemontesi, fiorentine nonché deferenze verso la romanità ed il fascismo (molti potenti fascisti rimasero ai loro posti dopo la caduta del fascismo). Spesso lo scrittore aveva fatto i suoi studi in altre città del l’ex regno delle due Sicilie[19]; il suo stile letterario e i suoi accenti linguistici verso tali città ne erano generosi debitori. Il maestro che dettava non aveva un diploma di dizione e anzi sfido chiunque a trovarne qualcuno che allora sapesse di cosa si trattasse quando si parlava di dizione. Per un processo scientifico, da poco dimostrato, esiste la certezza che quando un individuo ascolta una parola comprende il concetto attraverso il suono che l’orecchio percepisce completandolo con miliardi di informazioni che durante tutta la sua vita ha memorizzato nel proprio cervello. Quando scrivevano la parola dettata quei cari ragazzi avevano a disposizione miliardi di parole dialettali del proprio paese e dei paesi vicini e le poche parole nuove udite per la prima volta a scuola ma sicuramente dal significato spesso ancora oscuro per loro. Mentre scrivevano comunque dovevano evitare di fare cadere il calamaio, di far cadere macchie d’inchiostro sul quaderno di fare le orecchie al quaderno: tutti reati punibili con un ben determinato numero di frustate propinate con estrema durezza e pervertimento dall’eccellente maestro Verna. |
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Figura 22 la classica goccia di inchiostro sul foglio da scrivere |
Intingere il pennino metallico che si trovava infilzato sul legnetto che costituiva la penna; attingere tanto inchiostro da potere scrivere ma non tale che potesse sgocciolare; secondo il Maestro Verna il tutto era agevolato dalla minaccia delle frustate. | |
Figura 23 “la buccett” (bottiglia) con l’inchiostro che |
Figura 24 “la pen nchi lu pinnine” (dilalect) spesso si doveva portare da casa in italiano: “la penna con il pennino” |
Inutile dire che i dettati riportavano moltissimi errori che i
maestri attribuivano unicamente alla bestialità degli alunni ai quali si faceva
frequentare la scuola sicuramente per un errore di valutazione sostanziale: non
avevano il cervello adatto. Addizioni, sottrazioni, divisioni e piccoli problemi che facevano parte del programma d’insegnamento, diventavano tragedie poiché i maestri non si sognavano neanche lontanamente di legare alla realtà quotidiana di quei sfortunati ragazzi le problematiche burocratiche dei programmi scolastici statali: a quei maestri non passava neanche lontanamente per il loro cervello che pesi e misure del sistema metrico decimale potessero essere fatte capire con riferimenti alle allora ancora vigenti misure del ex regno delle due sicilie |
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Figura 25 c’era l’ossessione delle macchie vissute come cause di frustate |
Figura 26 penne con pennini smontati (spesso si dovevano sostituire i pennini perché si spuntavano) |
Figura 27 (scrittura su quaderno con penna a pennino e inchiostro) |
La frequenza di derisione era scatenata dall’involontario
utilizzo del dialetto, errori di dettato, inflessioni dialettali nella lettura
di quell’idioma approssimativo e sicuramente figlio di tante madri. La frequenza delle frustate avveniva secondo un editto non scritto del maestro Verna (dovrebbe averne visti, affissi ai muri della Roma papalina) (vedi foto sopra riprodotta, Figura 21). In ogni caso i maggiori destinatari delle frustate erano nell’ordine: frequentissime per i figli dei braccianti; molto frequente per i figli di contadini coltivatori diretti che risiedevano nelle campagne; frequenti per i figli dei contadini coltivatori diretti specialmente se non residenti a Torricella e poi i figli dei contadini coltivatori diretti residenti a Torricella; più rare erano per i figli d’artigiani di Torricella; raramente per i figli di commercianti benestanti; quasi mai per i figli d’altri professionisti; mai per i figli d’eventuali difensori potenti. Io che ero classificato come figlio di altri professionisti durante tutto l’anno ho preso solo una frustata (il rango mi derivava dall’avere i due zii materni maestri elementari e con le idee politiche diverse di quelle del fascista Verna). In altri termini posso affermare che la persona da fustigare era individuata più da quello che oggi posso definire “censo”[20] che non dalla gravità del misfatto da reprimere. |
Figura 28 quaderni con parziali “orecchie” |
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Figura 29 un’altra penna con pennino pronta per l’uso; il pennino spesso si smontava e si custodiva a parte per evitare che si rompesse con qualche urto |
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Figura 30 una coppia di calamai di bachelite |
LA MIA FRUSTATA Era il natale del 1946 ed il maestro scrisse alla lavagna un bigliettino di auguri che noi alunni avremmo dovuto copiare su un foglio del quaderno e portarlo ai nostri genitori. Vigeva la regola ferrea fissata dal Verna che in caso si commettessero errori, anziché pasticciare, bisognava sottolineare la parola sbagliata e riscrivere quella esatta. Siccome io vivevo con i nonni, il mio biglietto andava diretto ad essi. Sulla lavagna il maestro, ovviamente non mise il nome del firmatario poiché ciascuno di noi doveva apporre il proprio. Siccome il mio nome è Giosia io scrissi Giosia ma poi il maestro precisò che il nome doveva essere non quello ufficiale ma quello con il quale i genitori di solito ci chiamavano a casa (esempio Mingo anziché Domenico, Cola anziché Nicola, Ricuccio anziché Enrico ecc.). A quella precisazione, seguendo la regola suddetta, io sottolineai Giosia e scrissi Peppino. Quando il Maestro lesse il biglietto saltò su tutte le furie e alle mie sommesse parole per giustificarmi di avere seguito le regole delle correzioni, mi urlò “esponi la mano destra che ha commesso questo imperdonabile errore”. Esposi la mano ed egli con tutte le sue forze frusto il palmo della mia mano destra al riso di tutti i miei compagni che finalmente potettero vedere anche me frustato. |
Figura 31 fac simile dell’errore che mi costò una frustata |
Quell’anno comunque feci un grande progresso in lettura e scrittura poiché persone amiche delle figlie di “Zi Ricuccio” si facevano comprare un fumetto per adulti da poco uscito: GRAND HOTEL[21] che riferiva attraverso l’utilizzo del fumetto strazianti storie di amore a lieto fine in cui i cattivi soccombevano e i buoni alla fine vivevano felici e contenti. L’unica copia veniva letta da molte ragazze di nascosto, era un giornale proibito, ma alla fine sia pure con mesi di ritardo ed in maniera furtiva arrivava anche a me (il mio gradito compito era di leggerlo a persone che non sapevano leggere). |
Figura 32 un numero di Grand Hotel |
Quell’anno andai avanti anche con lo
studio degli altri problemi.
Si sono incontrati nel luglio del
1990 in Santa Cruz California USA Riguardo i certificati ecc qui sotto, che rilasciava la scuola – Figure 34, 35, 36, 37, - bensi si riesce a leggere (e tradurre) i titolipiu’ grandi, il resto non si può decifrare, ma forse questi dettagli non hanno bisogno di essere visti e tradotti; dovrebbero essere Titoli di studio che accertano il livello culturale dell’interessato. - in italiano dispregiativo sono un esempio di “pezzi di carta, senza alcun valore”
Questa era la seconda elementare a
Torricella nel 1946 che avrebbe dovuto avere lo scopo di far apprendere una o
più discipline mediante un insegnamento metodico e organizzato. |
NOTE: [1] Esempi di lettere di emigranti :-
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[5] L Tirriete ] – é in
dialetto – in Italiano significa le terrazzo o la terrazzo – a Torricella é un
balcone o terrazza con ringhiera di ferro battuto che affaccia la Chiesa di San
Giacomo Apostolo in direzione del Corso. In questa foto é quel balcone in alto,
ietro la ragazzina.
[6] ] saggina - altro nome di una varietà di sorgo;
alcune varietà coltivate del Sorghum dochna, come Sorghum dochna var. technicum,
nota come saggina da granate, vengono utilizzate per fabbricare spazzole, scope
e simili.
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II fenolici sono poco
usato oggigiorno per i prodotti di generale consumo dovuto al alto costo e
complessità della loro produzione ed alla loro natura - che é fragile alla
rottura. L’eccezione al generale diminuzione dell’uso è per i prodotti dove
proprio si vuole adoperare ed utilizzare i loro proprietà specifiche.
Pressando a caldo, si
ottengono oggetti con le caratteristiche fisiche, meccaniche, elettriche più
diverse che ne determinano l'uso. Le bacheliti vengono utilizzate soprattutto
come polveri da stampaggio e, a caldo, in miscela con riempitivi (farina di
legno, cascame di cotone, farina fossile, ecc.), con agenti di indurimento,
lubrificanti e coloranti. Sono ad esempio ottenuti in tal modo gli apparecchi
telefonici, le bocce sintetiche, i cruscotti delle automobili, molte parti
protettive di apparecchi elettrici, ecc.
[13] Galileo Galilei - (Pisa, 15
febbraio 1564 - Firenze, 8 gennaio 1642), fisico, filosofo, astronomo e
matematico italiano, è stato uno dei più grandi scienziati dell'epoca moderna.
[17] Giovanni della Casa - (Mugello,
28 giugno 1503 - Montepulciano, 14 novembre 1556) - poeta e letterato italiano.
[19] regno delle due Sicilie – è il nome che il re Ferdinando IV di
Borbone dette al suo regno, comprendente la Sicilia, la parte meridionale della
penisola italica e alcune isole minori, dopo la fine dell'era Napoleonica e la
restaurazione del 1816.
La Frusta
all’impugnatura (Stock Whip) – é la frusta classica australiana, spesso
fatto di pelle di canguro. Il nome di questa frusta viene dalla manica (l’impugnatura)
che in inglese si chiama lo “stock”, e non dal fatto che si usavano per
controllare i bovini (anch’essi chiamati in inglese lo “stock”) . |